Questa storia incredibile, eppure assolutamente vera, è narrata in un libro famoso, L’uomo che piantava gli alberi di Jean Giono.
Nel 1913 l’autore, percorrendo un territorio montano della Francia meridionale, si ritrovò in una zona arida e deserta, battuta da un vento incessante, dove crescevano soltanto cespugli di lavanda selvatica. Il territorio, già abbondantemente disboscato nei secoli precedenti, era abitato da boscaioli che continuavano a pieno ritmo il taglio degli alberi per produrre carbone, all’epoca abbastanza richiesto dalle industrie, soprattutto siderurgiche, in pieno sviluppo. Le zone rimaste senza alberi erano spopolate, i villaggi in rovina, i corsi d’acqua seccati. Dove c’erano esseri umani, si trattava di gente infelice, che viveva nella precarietà, l’un contro l’altro armato, sognando solo di andar via di lì.
In questo luogo, quasi per caso, l’autore incontra Elzéard Bouffier, un pastore che aveva scelto di piantare degli alberi dove non ce n’erano, semplicemente, senza preoccuparsi di questioni burocratiche, senza neanche sapere se il terreno dove li piantava fosse pubblico o privato.
Racconta Giono:
“Da tre anni piantava alberi in quella solitudine. Ne aveva piantati centomila. Di centomila ne erano spuntati ventimila. Di quei ventimila contava di perderne ancora la metà, a causa dei roditori o di tutto quello che c’è di imprevedibile nei disegni della Provvidenza. Restavano diecimila querce che sarebbero cresciute in quel posto dove prima non c’era nulla (...) Dissi che, nel giro di trent’anni, quelle diecimila querce sarebbero state magnifiche. Mi rispose con gran semplicità che, se Dio gli avesse prestato vita, nel giro di trent’anni ne avrebbe piantate tante altre che quelle diecimila sarebbero state come una goccia nel mare”.
L’amicizia fra lo scrittore e il pastore continuò per molti anni, fino al 1945, e in tutti quegli anni Elzéard mantenne il suo impegno. Continuò a piantare alberi che crebbero e formarono boschetti così belli e rigogliosi da attirare l’attenzione delle Autorità ed essere trasformati in aree protette statali, ignorandone l’origine. La presenza degli alberi migliorò sensibilmente il ciclo delle acque: le piogge divennero più regolari e meno devastanti, i ruscelli alimentati dalla neve trattenuta nei boschi ripresero a scorrere, il vento divenne meno violento. Con l’addolcirsi del clima i villaggi si ripopolarono e i campi abbandonati furono nuovamente coltivati. Dove prima pochi disperati vivevano di stenti, ora circa diecimila persone abitavano felicemente.
Riflettendo su questa vicenda è inevitabile pensare che noi esseri umani abbiamo un potere immenso nei confronti del pianeta che abitiamo, e un’enorme responsabilità. Perché non è indifferente tagliare alberi o piantarli, spargere rifiuti o riciclarli, produrre energia con il petrolio e l’atomo o con il sole e il vento, sprecare risorse o salvaguardarle. Elzéard Bouffier è uno dei pochi esseri umani che abbiano saputo usare pienamente, e nel modo giusto, questo potere, e noi dovremmo imparare da lui e provare a imitarlo. E’ più facile di quanto, nella nostra pigrizia, vogliamo ammettere. Conclude Giono:
“Quando penso che un uomo solo, ridotto alle proprie semplici risorse fisiche e morali, è bastato a far uscire dal deserto quel paese di Canaan, trovo che, malgrado tutto, la condizione umana sia ammirevole”.
Meditate, gente, meditate.
À bientôt.
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