Benvenuti

C'è una verità che spesso dimentichiamo: la vita sul nostro pianeta non può fare a meno degli alberi, della loro capacità straordinaria di nutrire la vita, di riportare equilibrio e armonia dove noi portiamo confusione e inquinamento. Gli alberi sono indispensabili, non solo perché respiriamo grazie a loro, ma anche perché possiedono una sorta di antica saggezza che possiamo apprendere osservandoli e imparando, per quanto possiamo, a imitarli.



Questo è il tema del mio libro ALBERI, ed è anche il tema di questo blog. Sarò felice di leggere i vostri commenti su questo e su tutto quanto riguarda queste straordinarie creature e il nostro rapporto con loro.



Lilly Cacace Rajola



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domenica 16 febbraio 2014

Alberi e case


Ogni anno è peggio.

Ogni anno la stagione delle piogge si lascia dietro uno strascico di macerie e morti, e un fiume di chiacchiere inutili. Non se ne può più dei politici che promettono soluzioni ma non sono in grado neanche di tamponare le emergenze più urgenti, e non se ne può più del circo mediatico, dei telegiornali che sparano titoli drammatici a ogni alluvione per dimenticare tutto subito dopo. Nei talk show vengono rispolverati in fretta gli ambientalisti, solitamente evitati come la peste e bollati come menagrami privi di ogni realismo; e c’è sempre qualcuno, che ambientalista non è, che pur di apparire più ambientalista degli ambientalisti se la prende perfino con i morti: hai costruito la tua casa sull’argine di un fiume o sotto un costone franoso, in barba alle leggi e a ogni buonsenso? Colpa tua se sei morto, ben ti sta.

Che follia.

Per affrontare seriamente il problema del dissesto idrogeologico che affligge tutta l’Italia, serve un atteggiamento mentale del tutto diverso, e prima di tutto gli ambientalisti andrebbero ascoltati ogni giorno e non solo dopo le tragedie. Perché conoscono il problema meglio degli altri, perché sono in grado di individuare le connessioni fra economia, politica e ambiente; fra i cambiamenti climatici, la gestione dei territori e la coesione delle comunità umane che sui territori ci vivono. Perché hanno seguito la vicenda da ben prima che mostrasse le sue gravi conseguenze e sono in grado di proporre le soluzioni integrate che servono per risolvere un problema così complesso e intricato.

Ma come siamo arrivati fin qui?
Potremmo dare la colpa al pasticcio legislativo degli ultimi 50 anni, con alcune leggi fin troppo rigorose, ma totalmente disapplicate a livello regionale e locale, scavalcate poi dai condoni che tutto appianavano e tutto - apparentemente - normalizzavano. Mi ricordo bene che buona parte della Campania, dopo la promulgazione della Legge Galasso, rimase per decenni in stallo, in attesa della creazione dei piani territoriali paesistici. Nel frattempo, tutti ladri, tutti onesti: il cittadino che allargava di un metro la stanza da bagno era messo sullo stesso piano dello speculatore che tirava su palazzi di 10 piani, a tutto vantaggio di quest’ultimo.
Per quanto mi faccia rabbia tutto ciò, però, devo riconoscere che non si tratta di una causa ma di un effetto. La causa principale è la mancanza di pianificazione e il disinteresse per le sorti del territorio e dell’ambiente. E non prendiamocela solo con i politici. Non ci vuole un sindaco per tirare su un muro a secco che, messo lì dalla saggezza millenaria dei contadini, comincia a sbriciolarsi. Non occorre un ministro per capire che se tutte le strade e le piazze della città sono impermeabilizzate da asfalto e cemento, oltre a quintali di anidride carbonica avremo valanghe d’acqua che scorrono su quelle lisce superfici.
Fino a un secolo fa, i contadini ogni novembre si riunivano e piantavano alberi (vedi il post del 27 ottobre 2011) per consolidare il terreno, e più volte all’anno ripulivano le vie d’acqua come i letti dei torrenti, per garantirne il libero scorrimento e prevenire straripamenti e alluvioni. Nessuno li pagava per questo, né si aspettavano che una qualche autorità risolvesse il problema dall’alto. Lo facevano per se stessi, per le proprie comunità.
Oggi la situazione è decisamente  più complessa, e c’è bisogno di soluzioni politiche e legislative. Occorrerà fare, sia pure in ritardo, quella pianificazione che non è stata fatta finora. Sarà necessario decidersi ad abbattere delle case, e purtroppo non solo quelle degli speculatori ma anche quelle di chi, non potendo acquistare una casa, se l’è costruita come ha potuto, senza rispettare neanche le regole del buonsenso. Perché se la tua casa rischia di uccidere i tuoi figli o quelli di qualcun altro, lasciarla lì è come lasciare una pistola carica in mano a un bambino.

Talvolta il problema non sono nemmeno le case, ma le superfici cementate e impermeabilizzate che le circondano, la mancata messa in sicurezza dei costoni, l’abbattimento degli alberi per fare posto a terrazzi, giardini, viali e parcheggi. Anche in ambiente urbano, gli spazi verdi si riducono sempre più e sono sempre più trascurati. Gli alberi non piacciono: “sporcano” con le foglie, danneggiano l’asfalto con le radici, tolgono spazio alla circolazione e al parcheggio. Questi piccoli svantaggi sono molto più visibili dei grandi vantaggi della loro presenza: meno CO2, aria più pulita, umidità più costante, meno zanzare d’estate e meno allagamenti in inverno. La legge Rutelli imponeva a ogni comune di piantare un albero per ogni bambino nato, ma è totalmente disapplicata perché non vengono mai individuati gli spazi dove piantare gli alberi. A nessuno viene in mente di togliere via un po’ di asfalto e cemento dalle strade e dalle piazze.

Compito dei cittadini - e di chi si occupa di informarli e di sollecitare l’opinione pubblica - è quello di fare pressione sui politici e di tenere gli occhi aperti denunciando eventuali illegalità, lasciando poi alla magistratura il compito di accertare le responsabilità. Ma non solo. Perché l’intervento politico e legislativo, per quanto indispensabile, non potrà risolvere da solo il problema. I costi della gestione delle emergenze verificatisi finora, sommati a quelli della prevenzione da attuare al più presto, sono enormi e i tempi non sono brevi. Nel frattempo che facciamo? Aspettiamo i miracoli dall’alto, mentre la terra ci si sbriciola sotto i piedi, o prendiamo esempio dai nostri saggi antenati contadini? Non ci vuole poi molto. Se il letto di un torrente è invaso dai rifiuti, una giornata di volontariato per ripulirlo e delle ronde per sorvegliarlo richiedono solo qualche ora del nostro tempo, da sottrarre a Facebook o alla televisione; e anzi, proprio i social network possono aiutarci a trovare altri volontari. Se abbiamo un negozio, adottiamo un’aiuola. Trasformiamo il cortile condominiale in un orto urbano. Controlliamo i consumi energetici per ridurre la nostra quota di CO2. Usiamo carta riciclata e detersivi poco inquinanti. Costruiamo un nido per le rondini o un’arnia per le api, prima che si estinguano con grave danno per la vita vegetale... e per la nostra.

Ma soprattutto, piantiamo alberi e prendiamocene cura. Piantiamoli in città, nelle terre abbandonate, dietro la casa del vicino, in vacanza, dovunque possiamo. Non preoccupiamoci se quando saranno cresciuti noi saremo altrove o troppo vecchi, o se non saremo più in questo mondo: facciamolo perché è necessario e perché è giusto. Facciamolo perché gli alberi non sono nemici delle case, ma anzi spesso le salvano. Facciamolo perché è divertente e perché è l’occasione per stare insieme agli altri e riscoprire i contatti umani.

Facciamolo e basta.