Benvenuti

C'è una verità che spesso dimentichiamo: la vita sul nostro pianeta non può fare a meno degli alberi, della loro capacità straordinaria di nutrire la vita, di riportare equilibrio e armonia dove noi portiamo confusione e inquinamento. Gli alberi sono indispensabili, non solo perché respiriamo grazie a loro, ma anche perché possiedono una sorta di antica saggezza che possiamo apprendere osservandoli e imparando, per quanto possiamo, a imitarli.



Questo è il tema del mio libro ALBERI, ed è anche il tema di questo blog. Sarò felice di leggere i vostri commenti su questo e su tutto quanto riguarda queste straordinarie creature e il nostro rapporto con loro.



Lilly Cacace Rajola



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giovedì 27 ottobre 2011

La Festa dell'Albero

  La Festa dell’Albero trae le sue origini dalla festa che i contadini di tutta Europa celebravano, fin dai tempi degli antichi Romani, in autunno, per festeggiare la messa a dimora delle nuove piante nei boschi e nelle terre comuni. Nella loro antica saggezza i contadini sapevano che è bene rimpiazzare subito le piante perse a causa di catastrofi naturali o del taglio della legna; e, per portare a termine questa operazione in breve tempo e con successo, era d’uso unire le forze dell’intero villaggio.
Questa bella consuetudine, ripresa  da Legambiente da oltre 20 anni, ha acquisito nuovi significati, senza perdere quello originario: infatti oltre a piantare nuovi alberi (per prevenire o attenuare i rischi idrogeologici, per mitigare il surriscaldamento globale, per migliorare la qualità della vita delle persone), ci si impegna a prendersene cura (adozione) e a diffondere una cultura di rispetto per gli alberi e per la Natura in genere. Un festeggiamento particolare viene poi riservato agli alberi monumentali, quelli cioè che per varie ragioni possono essere  considerati patriarchi della loro specie e/o testimoni di eventi storici (come il platano di Lamartine, che si trova nell’isola d’Ischia, sotto la cui ombra il poeta scriveva versi immortali), unendo così la storia naturale a quella degli uomini.
La Festa dell’Albero nel racconto di Ugo Foscolo:

“12 novembre
  Jeri giorno di festa abbiamo con solennità trapiantato i pini delle vicine collinette sul monte rimpetto alla chiesa. Mio padre pure tentava di fecondare quello sterile monticello; ma i cipressi ch’esso vi pose non hanno mai potuto allignare, e i pini sono ancor giovinetti. Assistito io da parecchi lavoratori ho coronato la vetta, onde casca l’acqua, di cinque pioppi, ombreggiando la costa orientale di un folto boschetto che sarà il primo salutato dal sole quando splendidamente comparirà dalle cime dei monti. E jeri, appunto, il sole più sereno del solito riscaldava l’aria irrigidita dalla nebbia del morente autunno.
  Le villanelle vennero sul mezzodì co’ loro grembiuli di festa intrecciando i giuochi e le danze di canzonette e di brindisi. Tale di esse era la sposa novella, tale la figliuola, e tal altra la innamorata di alcuno dei lavoratori; e tu sai che i nostri contadini sogliono, allorché si trapianta, convertire la fatica in piacere, credendo per antica tradizione de’ loro avi e bisavi, che senza il giolito de’ bicchieri gli alberi non possano mettere salda radice nella terra straniera.
  Frattanto io mi vagheggiava nel lontano avvenire un pari giorno di verno quando canuto mi trarrò passo passo sul mio bastoncello a confortarmi a’ raggi del Sole, compiacendomi delle frutta che, benché tarde, avranno prodotto gli alberi piantati dal padre mio. E quando le ossa mie fredde dormiranno sotto quel boschetto alloramai ricco ed ombroso, se talvolta  lo stanco mietitore verrà a ristorarsi dall’arsura di giugno, esclamerà: egli innalzò queste fresche ombre ospitali!”

da: Ugo Foscolo, Le ultime lettere di Jacopo Ortis , rid. e adatt.

Un solo commento: essere ricordati per aver piantato degli alberi è molto più gratificante della fama effimera che spesso si rincorre (aver successo in politica, fare soldi, apparire in televisione...). Anche perché gli alberi spesso vivono più a lungo di noi...

Io partecipo alla Festa dell’Albero, e voi???


Per partecipare alla Festa dell’Albero:
 troverete tutte le notizie sulle passate edizioni della Festa dell’Albero. Cliccando su http://www.legambiente.it/legambiente/mappa-sedi
 potrete rintracciare il gruppo di Legambiente più vicino a voi. Se non trovate nessun gruppo di Legambiente, auto-organizzatevi! Chiedete al vostro Comune di affidarvi una piccola area incolta o trascurata (anche un’aiuola) e adottatela. Le piante spesso le fornisce gratuitamente la Guardia Forestale. Buon lavoro e... fatemi sapere!

La solidarietà dei lecci

I lecci sono bellissime querce, slanciate, eleganti; ma la loro maggiore bellezza è nella loro socialità. Provate ad entrare in una lecceta e vi sembrerà di essere nella giungla. Gli alberi e le piante del sottobosco sono fitti, e nascondono alla vista il resto del mondo. Su ogni albero, poi, hanno la loro casa diversi animali: topi quercini nelle radici, ghiandaie ed altri uccelli sui rami… è un bosco talmente pieno di vita che viene da domandarsi come fanno tante creature a vivere insieme in così poco spazio e sembrare così a loro agio.
Infatti è difficile capirlo per chi come noi ha dato vita a società estremamente competitive, soprattutto qui, nel ricco ed egoista nord del mondo, dove ci si ricorda che le risorse sono limitate solo quando altri chiedono di accedervi. Quante volte abbiamo sentito dire: “la coperta è stretta” per giustificare inimicizie fra gruppi etnici o sociali? E se, invece di tirare la coperta di qua e di là, ci facessimo caldo a vicenda con i nostri stessi corpi? E’ quello che fanno le piante. Manca l’acqua? Non è una buona ragione per rubarsela a vicenda, al contrario: i grandi alberi fanno ombra con le loro chiome alle piante erbacee e queste conservano l’acqua per le radici degli alberi. In questo modo una risorsa fondamentale viene salvaguardata e al tempo stesso è sfruttata al massimo. Oh-oh, forse le piante della lecceta hanno qualcosa da insegnarci anche in tema di economia...

lunedì 24 ottobre 2011

Ancora sull'uomo che piantava gli alberi

Ho trovato questo video su You Tube, racconta la storia di un uomo che piantava alberi (vedi il post del 5 ottobre su questo blog), è bellissimo ed è bella anche la canzone:
http://youtu.be/7Og0IKyP_Wo
guardatelo e ditemi cosa ne pensate...

sabato 8 ottobre 2011

La pazienza del pino


 
Iniziando questo blog, ho detto che dovremmo imparare a vivere prendendo esempio dalle piante. Ebbene, una pianta che sicuramente ha molto da insegnarci è il pino. Mi è capitato spesso di osservare gli alberi delle pinete del Vesuvio, soprattutto pini marittimi e domestici. Vivono in un ambiente difficile, mettendo radici in durissime colate laviche che contribuiscono a disgregare.

Pini al lavoro sulle lave del Vesuvio



Per questa ragione sono usati per i rimboschimenti in zone vulcaniche: non c’è roccia che gli resista. Le radici delle altre piante, quando incontrano qualcosa di duro, deviano cercando di aggirare l’ostacolo. Quelle del pino, invece, sono provviste, in punta, di una cuffia radicale: qualcosa di simile a un’unghia durissima, che si conficca nella roccia e a lungo andare la spacca. Dopo un’eruzione, il problema principale è il rischio di alluvioni. Infatti le piogge scorrono sul manto impermeabile della colata lavica, formando una valanga d’acqua che si avventa sui centri abitati a valle, aggiungendo i suoi danni a quelli dell’eruzione. I pini, in pochi anni, pongono rimedio a tutto questo. 
Ma l’aspetto più interessante della vita di queste creature è un altro. Un’infiorescenza di pino ci mette tre anni a trasformarsi in pigna, resistendo alle intemperie e agli attacchi dei roditori. Tre lunghi anni per maturare e liberare i semi. Ognuno dei possenti colossi che compongono le pinete vesuviane ha avuto origine da una così lunga gestazione. E forse è questo che rende così ostinate queste creature, che dà loro la tenacia per continuare a incidere la roccia, che le rende capaci di sopravvivere alla scarsità d’acqua, al caldo infernale di agosto, alle gelate primaverili, agli incendi appiccati dai nostri simili... continuando a crescere, senza arrendersi. Il pino è un maestro di tenacia e pazienza. 


Particolare delle radici

mercoledì 5 ottobre 2011

“E così la seconda storia che vi voglio raccontare...”

Questa storia incredibile, eppure assolutamente vera, è narrata in un libro famoso, L’uomo che piantava gli alberi di Jean Giono.
Nel 1913 l’autore, percorrendo un territorio montano della Francia meridionale, si ritrovò in una zona arida e deserta, battuta da un vento incessante, dove crescevano soltanto cespugli di lavanda selvatica. Il territorio, già abbondantemente disboscato nei secoli precedenti, era abitato da boscaioli che continuavano a pieno ritmo il taglio degli alberi per produrre carbone, all’epoca abbastanza richiesto dalle industrie, soprattutto siderurgiche, in pieno sviluppo. Le zone rimaste senza alberi erano spopolate, i villaggi in rovina, i corsi d’acqua seccati. Dove c’erano esseri umani, si trattava di gente infelice, che viveva nella precarietà, l’un contro l’altro armato, sognando solo di andar via di lì.
In questo luogo, quasi per caso, l’autore incontra Elzéard Bouffier, un pastore che aveva scelto di piantare degli alberi dove non ce n’erano, semplicemente, senza preoccuparsi di questioni burocratiche, senza neanche sapere se il terreno dove li piantava fosse pubblico o privato.
Racconta Giono:
“Da tre anni piantava alberi in quella solitudine. Ne aveva piantati centomila. Di centomila ne erano spuntati ventimila. Di quei ventimila contava di perderne ancora la metà, a causa dei roditori o di tutto quello che c’è di imprevedibile nei  disegni della Provvidenza. Restavano diecimila querce che sarebbero cresciute in quel posto dove prima non c’era nulla (...) Dissi che, nel giro di trent’anni, quelle diecimila querce sarebbero state magnifiche. Mi rispose con gran semplicità che, se Dio gli avesse prestato vita, nel giro di trent’anni ne avrebbe piantate tante altre che quelle diecimila sarebbero state come una goccia nel mare”.
L’amicizia fra lo scrittore e il pastore continuò per molti anni, fino al 1945, e in tutti quegli anni Elzéard mantenne il suo impegno. Continuò a piantare alberi che crebbero e formarono boschetti così belli e rigogliosi da attirare l’attenzione delle Autorità ed essere trasformati in aree protette statali, ignorandone l’origine. La presenza degli alberi migliorò sensibilmente il ciclo delle acque: le piogge divennero più regolari e meno devastanti, i ruscelli alimentati dalla neve trattenuta nei boschi ripresero a scorrere, il vento divenne meno violento. Con l’addolcirsi del clima i villaggi si ripopolarono e i campi abbandonati furono nuovamente coltivati. Dove prima pochi disperati vivevano di stenti, ora circa diecimila persone abitavano felicemente.
Riflettendo su questa vicenda è inevitabile pensare che noi esseri umani abbiamo un potere immenso nei confronti del pianeta che abitiamo, e un’enorme responsabilità. Perché non è indifferente tagliare alberi o piantarli, spargere rifiuti o riciclarli, produrre energia con il petrolio e l’atomo o con il sole e il vento, sprecare risorse o salvaguardarle. Elzéard Bouffier è uno dei pochi esseri umani che abbiano saputo usare pienamente, e nel modo giusto, questo potere, e noi dovremmo imparare da lui e provare a imitarlo. E’ più facile di quanto, nella nostra pigrizia, vogliamo ammettere. Conclude Giono:
“Quando penso che un uomo solo, ridotto alle proprie semplici risorse fisiche e morali, è bastato a far uscire dal deserto quel paese di Canaan, trovo che, malgrado tutto, la condizione umana sia ammirevole”.
Meditate, gente, meditate.
À bientôt.

domenica 2 ottobre 2011

La mimosa e io (parte seconda)

Un bel controluce della mia mimosa

 L’anno successivo la fioritura fu spettacolare, anche perché i rami ormai arrivavano quasi al piano superiore della casa. In seguito fu necessaria una potatura, per ritemprare la pianta stanca e riportarla entro le sue giuste dimensioni. Il giardiniere brontolò perché la pianta, secondo lui, andava potata prima: non volle convincersi che, solo un anno e mezzo prima, quello era un alberello striminzito a cui si poteva tagliare ben poco. Mi disse anche il nome scientifico della pianta (che subito dimenticai), sottolineando che non si trattava di una mimosa. Infine, con il suo ruvido buonsenso, mi fece notare che l’aiuola era troppo piccola per le radici dell’albero, che crescevano velocemente. “Questa pianta non vivrà a lungo”, sentenziò. Si sbagliava. La mia mimosa -così continuerò sempre a chiamarla- rimase lì, sulla soglia di casa mia per molti anni, come un grazioso benvenuto ed un solerte guardiano, a far da chioccia alla salvia, alla lavanda e al rosmarino, i più profumati che io abbia mai visto... e annusato, grazie a lei. Non avrei mai immaginato che un impegno così lieve e piacevole come quello di curare un albero avrebbe prodotto un risultato così ampio, come un alone di benessere che si trasmetteva alle piante aromatiche e a me, e man mano, al resto del giardino... come quando si getta un sasso nell’acqua e i cerchi si propagano lontano...

Poi, un giorno di aprile di qualche anno fa, durante un temporale imprevisto quanto violento, con un fragoroso “crac” si spezzò l’ultimo grande ramo della mia mimosa. Era vecchia e malata da tempo, ma prima di lasciarmi mi aveva regalato, su quell’ultimo ramo, una meravigliosa fioritura. E’ proprio vero che l’amore fa miracoli, ma non il tipo di miracoli che di solito la gente chiede, come vincere tanti soldi al Superenalotto o diventare divi della TV. L’amore fa piccoli miracoli quotidiani di cui non è facile accorgersi ma che passo dopo passo cambiano la nostra vita e il mondo attorno a noi. La mia mimosa non c’è più, ma mi ha insegnato a non arrendermi, a superare i miei limiti, a stare in armonia con quello che mi circonda. Mi ha insegnato che la solidarietà non è solo compassione per i più deboli,ma è coscienza di un legame, di una rete di legami che uniscono tutti gli esseri fra loro. Ora so che se danneggio la trama di questo tessuto, faccio male anche a me stessa, e se lo proteggo miglioro la qualità della mia vita.
Conservo sempre il ricordo della mimosa, ma nel frattempo altri alberi sono entrati nel mio cuore, e altri ancora ci entreranno. Alcuni di loro ci saranno ancora quando io non ci sarò più. E forse insegneranno qualche altra cosa  sull’amore e sul mondo ad altri sprovveduti esseri umani.