Mi hanno fatto notare che non ho mai parlato della Xylella,
il “batterio killer” (sic) che sta decimando gli ulivi pugliesi. Rimedio
facendolo ora.
Quando, nel 2013, cominciarono a girare le prime notizie
sull’epidemia, il mio primo pensiero andò a un’altra vicenda, quella degli
ulivi secolari trafugati dalle campagne pugliesi per poi venderli come
ornamenti da giardino in tutta Italia. Sentivo che c’era qualcosa in comune fra
le due storie, ma non sapevo ancora cosa.
Nel frattempo l’epidemia si è estesa e ne è nato un braccio
di ferro fra i difensori degli alberi e le autorità, che hanno imposto
l’eradicazione non solo delle piante infette, ma anche di quelle sane in un
raggio di cento metri, radendo così al suolo ettari di campagne dove solo qualche
pianta era malata. Finché non li ha fermati la Procura di Lecce, sequestrando gli ulivi malati e impedendone l’abbattimento
fino alla chiusura dell’inchiesta: sembra infatti, da una perizia tecnica, che
non sia sufficientemente provato che sia la Xylella da sola a causare la morte
degli ulivi, ma che ci siano anche altre cause. Sembra inoltre che la Xylella
sia presente in Puglia da molto tempo, tanto da essere mutata in ben nove ceppi
diversi. Insomma, i dubbi sono più delle certezze.
Prima e meglio dei periti giudiziari, però, ad aprirmi gli
occhi è un mio amico contadino: «Ma quale batterio, ma quale epidemia, la vera
malattia è l’incuria!» Il mio amico sa di cosa parla: vignaiolo fin da bambino,
ha passato una vita (settanta gagliardissimi anni) a tirare su le parracine, i muretti a secco dei vigneti
collinari, rimettendoli in sesto ogni volta che un temporale li scompigliava,
per prevenire frane e smottamenti. «Io ci sono stato più volte in quelle
campagne pugliesi -dice- ed è un abbandono totale. Il terreno non è mai curato,
quel poco di lavoro che fanno lo fanno con trattori e diserbanti, per anni mai
una bella zappata, una concimazione col letame, una bella potatura accarezzata... poi tutto insieme
tagliano con la motosega, così gli alberi soffrono, e poi si meravigliano se si
ammalano». Saggezza popolare: gli esperimenti scientifici più recenti sono
arrivati alla stessa conclusione.
Del resto la prova ce l’ho sotto gli occhi. Quando guardo
fuori dalla finestra della mia casa di Ischia, vedo una bella palma ondeggiare
nel vento. Qualche anno fa, all’epoca dell’infestazione del punteruolo rosso
(altro “killer”, ricordate?) era stata data per spacciata, le foglie tutte
secche. Ma fu testardamente curata e potata, anche se tutti dicevano che non
c’era nulla da fare, e ora sfoggia una bella chioma verdeggiante. Il tronco ha
una forma strana, con un rigonfiamento e una strozzatura, ma lei è viva e lo
sarà ancora per un bel po’.
Quanto alle eradicazioni a tappeto, a me sono sembrate dal
primo momento un’assurdità. Mi ricordano quel film, Virus letale, in cui Dustin Hoffman e Donald Sutherland (militari
statunitensi) per bloccare un’epidemia distruggono un villaggio africano, e poi
dopo vent’anni il virus rispunta fuori in una cittadina americana e non si sa
come combatterlo. Sutherland vorrebbe distruggere la città, ma viene fermato
giusto in tempo da Hoffman che, indagando nel centro dell’epidemia, scopre
finalmente come curarla. Distruggere l’epicentro di un’epidemia è pericoloso
perché proprio lì si trovano le risposte alle domande di chi cerca una cura.
Superficialità, incuria, abbandono: eccolo dunque il legame
fra la vicenda degli ulivi trafugati e questa della Xylella. Se provi a
trafugare una pianta dal vigneto del mio amico contadino, devi vedertela con
lui, perché le conosce e le cura una per una. «Siente a mmé -dice- le malattie in campagna ogni tanto vengono, e
molte piante muoiono, però se la terra è sana la malattia passa, le piante che
non muoiono si riprendono, e in qualche anno tutto torna come prima».
Certamente malattie e infestazioni delle piante
si sono fatte più frequenti e violente negli ultimi anni, probabilmente a causa
dei cambiamenti climatici (provocati da noi) e della cattiva globalizzazione
(anche quella colpa nostra) che insieme alle merci fa viaggiare per tutto il
globo patogeni un tempo isolati in piccole aree. Ma questo significa solo che
dovremo imparare ad avere più cura della terra. Molta di più.