Fra le tante emergenze di questa turbolenta estate -il caldo, la siccità al sud e le piogge torrenziali al nord, gli incendi, i terremoti e i crolli - l'infestazione da Toumeyella sembra essere svanita dall'orizzonte. Probabilmente questo accade perché gli alberi non sono considerati una priorità, tanto vero che anche in caso di incendi boschivi, in molte regioni, i Vigili del Fuoco sono autorizzati a intervenire solo se il fuoco minaccia le case.
Tuttavia l'infestazione da Toumeyella, complice il gran caldo di quest'estate, è progredita e sarebbe ora che i Servizi Fitosanitari delle Regioni interessate si dessero da fare, anche perché una delle cause che hanno reso così grave l'incendio del Vesuvio di questa estate è proprio la presenza di numerosi alberi disseccati dal parassita, che hanno fornito una facile esca al fuoco.
La scorsa primavera, nell'ambito della ricerca svolta con le associazioni Gli alberi e noi - Isola Verde e Legambiente Isola d'Ischia, avevo intervistato i proff. Garonna e Marino sulle caratteristiche dell'infestazione e sulle possibili conseguenze.
Qui di seguito l'articolo:
Un nemico subdolo e terribile, la Toumeyella parvicornis, minaccia tutte
le pinete storiche della Penisola italiana. Si tratta di un piccolissimo
insetto, una cocciniglia, che attacca i pini, soprattutto quelli della specie Pinus pinea, cioè quelli che producono i
pinoli, causando estesi deperimenti e in molti casi la morte della pianta. La
Campania è, per ora, la regione più colpita, ma l’infestazione minaccia di
espandersi come un incendio.
«Se non si fa nulla, in pochi anni potremmo registrare attacchi in tutte le pinete da pinoli d’Italia -afferma il professor Antonio Pietro Garonna, docente di Entomologia generale e applicata all’Università di Napoli Federico II- infatti questo insetto, che nel suo habitat originario nordamericano si riproduce una sola volta all’anno, nei nostri climi ha almeno tre generazioni per anno», e se si aggiunge la mancanza di competitori naturali nel nostro ambiente si ha un’idea del possibile disastro.
Foto Isabella Marino - QUISCHIA |
Ma come sarà arrivata qui la Toumeyella?
Semplice. Qualcuno ha importato delle piante senza rispettare le regole che
impongono certificazioni fitosanitarie e severi controlli, «le stesse
disposizioni che vietano di importare un antagonista della cocciniglia dall’areale
nativo, perché anche quello, se introdotto in un ecosistema nuovo, potrebbe
avere effetti indesiderati», continua il prof. Garonna. Ma allora non c’è una
soluzione? «Stiamo studiando diversi possibili antagonisti della Toumeyella fra
gli insetti locali, ma questo richiede tempo, siamo ancora alla prima fase
della sperimentazione. Inoltre cerchiamo di capire perché altre specie del
genere Pinus, come il pino d’Aleppo,
siano molto meno suscettibili all’infestazione».
Foto Simone Verde |
E le eradicazioni a tappeto nel raggio di cento metri dalle piante malate, come per la Xylella? «Assolutamente inutili. Le neanidi (gli insetti appena nati, ndr) sono talmente leggere che il vento può trasportarle per molti chilometri, come è già avvenuto qui in Campania». Ma allora l’unica soluzione è la chimica? «In ambito urbano, l’utilizzo di insetticidi è regolamentato da una recente normativa (Decreto Legislativo 14 agosto 2012, n. 150), per evitare rischi alla popolazione dovuti all’uso improprio di tali prodotti.» In altre parole è praticamente impossibile irrorarli in pinete vicine a centri abitati. Ma c’è un’altra strada: «Con l’endoterapia (iniezioni con insetticidi al tronco degli alberi, ndr) che funziona abbastanza bene soprattutto su alberi giovani, si possono ottenere validi risultati, e poi ci sono le buone pratiche: lavaggi della chioma con saponi di sali potassici, potature mirate... non sono risolutive, ma permettono di allungare la vita delle piante, dando più tempo alla ricerca. Per esempio, nella zona di Torre del Greco, salta agli occhi la differenza fra le piccole pinete private, curate dai proprietari, e la grande pineta demaniale abbandonata a se stessa». Qual è l’ostacolo principale all’applicazione massiccia di queste buone pratiche? «Questi interventi hanno un costo notevole, soprattutto perché vanno effettuati da ditte specializzate, e richiedono le necessarie autorizzazioni». Quindi tempi non brevissimi... «Gli uffici preposti stanno inquadrando sempre di più la pericolosità della situazione, ma il problema più grande resta quello dei costi».
I costi: certo un bel problema, ma non costa
molto di più perdere tutti i pini? Chiedo una valutazione al prof. Davide
Marino, docente di Estimo e contabilità ambientale all’Università del Molise:
«Non mi risultano studi recenti su questo argomento, ma il semplice buonsenso
ci dice che sarebbe un danno incalcolabile. Innanzi tutto per la perdita della
produzione di pinoli, che sono già attualmente una merce molto costosa» e che
andrebbero poi importati dall’estero con ulteriore rincaro, per non calcolare
la perdita di posti di lavoro «e poi, visto che le pinete storiche sono quelle
più a rischio per l’età delle piante, il danno al paesaggio, e di conseguenza
al turismo, alla cultura, perfino all’identità di alcuni luoghi è quasi
inimmaginabile». A questo poi si aggiunge il costo della distruzione delle
piante morte, che per non diffondere
l’infestazione andrebbero preferibilmente cippate e incenerite sul posto: operazione non facile e
per l’appunto dispendiosa.
Ma allora -chiedo al prof. Garonna- non c’è niente che un cittadino di buona volontà possa fare? «Il
volontariato può affiancare la ricerca, diffondendo le informazioni, e può fare
pressione sugli Enti locali per l’applicazione delle buone pratiche», e una
volta eliminati gli alberi morti, ci sarà bisogno di piantare giovani alberi e
di prendersene cura... insomma c’è tanto da fare, e nel mondo del volontariato
già qualcosa si muove.
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